Aperitivo o arancino, siamo sempre gli stessi

Aperitivo o arancino? Sud o nord? Da quando siamo entrati nel tunnel del Covid-19, ogni giorno ci arriva un richiamo, un rimbrotto, una minaccia. Che sia sotto forma di Dpcm o di insulto via social, la sostanza non cambia. Lo si fa per il nostro e altrui bene. Ma è tanto lo zelo nel volerci mettere in riga che spesso il rimedio si trasforma in un cortocircuito dall’accento ironico. Si pensi alle tante multe che sono fioccate nei giorni di quarantena e a quelle che ancora le forze dell’ordine si ostinano a infliggere alla povera gente. Povera perché, appunto, si continua a mungere una vacca ormai sterile. Un paio di settimane fa mi raccontavano dell’inflessibilità con cui era stata comminata una sanzione a una persona che non era riuscita a far revisionare la propria auto durante il lockdown. A nulla erano valse le proteste e l’indisponibilità delle officine. La giustizia è cieca e, talvolta, anche un po’ stronza.

Quel buon senso che anche allo Stato servirebbe

Perché non basta fare una legge per mettere a posto le cose. Le leggi vanno interpretate, specialmente quelle che si appellano al buon senso. Per cui non ci si può stupire degli assembramenti attorno agli spritz né accanirsi con chi la mascherina ce l’ha, sebbene in tasca. Il primo a cui è chiesto il buon senso è lo Stato che, mentre insiste nel darci buffetti benevoli sulla guancia quando lo vediamo in tv, non appena ci raggiunge per strada allunga la mano fin dentro il portafoglio. Tanto che non sembra lo stesso che alla televisione pareva così accomodante e comprensivo. Buon senso avrebbe dovuto suggerirgli che vietare gli assembramenti è una proibizione che sta in piedi per i concerti, gli spettacoli e persino le messe. Gli aperitivi sono un’altra parrocchia, e pure gli arancini. Non ci si dà appuntamento in 50 al bar. Ci si ritrova lì tutti insieme a prescindere.

Aperitivo o arancino, sbagliano sempre gli altri

Il vezzo di rassicurare da un lato e terrorizzare dall’altro non è solo della politica e delle istituzioni. Gli italiani ce l’abbiamo proprio nel sangue. Se a bere l’aperitivo o mangiare l’arancino siamo noi, allora ci riempiamo la bocca di indulgenza accompagnandola con porzioni abbondanti di arachidi. Se, al contrario, sono gli altri a sedere ai tavolini, e noi li guardiamo da dietro lo schermo, il nostro vocabolario di improperi e maledizioni all’indirizzo dei reprobi si tinge dei colori più scuri. L’aggravante, poi, è dettata dalle latitudini e dai territori. Quando a scappare dal nord verso il sud sono stati i terroni, il dito alzato degli abitanti sopra il Po ha accompagnato i transfughi con frasi ingiuriose per tutto il tragitto e anche oltre. Oggi sono i navigli a essere diventati la quintessenza del male e i suoi frequentatori la peggiore banda di criminali che mai si sia vista in una bettola.

Un po’ viziosi e un po’ virtuosi, come tutti

Eppure qualcosa avremmo dovuto imparare dalla pandemia. O no? Dopo che ce lo siamo detti tante volte: che non saremmo stati più come prima, che avremmo vissuto con maggiore responsabilità, che ci saremmo buttati alle spalle le abitudini scorrette, che con il ritorno degli abbracci una nuova era di prosperità avrebbe invaso le nostre vite. Invece siamo rimasti uguali. Davanti all’aperitivo o all’arancino si giocano i soliti vizi (sempre altrui) e le consuete virtù (le nostre, ovviamente). Forse è proprio questo che, alla fine, dovremmo conservare di questi giorni, perdonando noi stessi e anche gli altri per essere, noi e loro, un po’ viziosi e un po’ virtuosi. Per essere come tutti. E tu, Governo, dovevi prevederlo che se aprivi i cancelli dietro i quali eravamo stati rinchiusi per due mesi, era normale che la calca si creasse. E non perché ci si fosse messi d’accordo. Semplicemente perché era logico che accadesse.


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