
Foto di Carmelo Battiato.
Aspettando l’uscita del mio romanzo, si spera ad apocalisse finita e coronavirus permettendo, ecco alcune righe.
La notte, a Toresano, era più invitante. C’era pure la luna a corredo. Si avviò a piedi, lasciando la villa con la sua fontanella e le sue palme secche. Il cane lo seguì a distanza di sicurezza.
Toresano non esiste, nel caso in cui vogliate prendervi la briga di cercarlo su Google Maps. Così come i tanti luoghi citati nell’opera, sebbene i riferimenti siano facilmente decifrabili. Toresano è un paese inventato, come la Vigata di Montalbano, e pretendeva di entrare di diritto nella geografia verosimile della narrativa contemporanea. Pretendeva perché era tutto pronto. L’editore aveva già proposto un paio di copertine, di cui una davvero azzeccata. Eravamo arrivati alle seconde bozze e il mio romanzo avrebbe dovuto essere in stampa per fine marzo. Giusto in tempo per partecipare a qualche concorso letterario e, soprattutto, per il Salone del Libro di Torino, calendarizzato dal 14 al 18 maggio. Saltato anche quello. Come tantissimi altri appuntamenti dedicati alla cultura, come qualsiasi altra iniziativa in cui è necessario ritrovarsi in più di due a meno di un metro di distanza l’uno dall’altro.
Conviene rileggere oggi La strada di McCarthy
Nel 2009, in occasione dell’uscita dell’adattamento cinematografico del suo romanzo La strada, opera vincitrice due anni prima del premio Pulitzer per la narrativa, Cormac McCarthy fu intervistato da John Jurgensen per The Wall Street Journal. Una delle rarissime volte in cui lo scrittore si è concesso ai microfoni di un giornalista. La strada è ambientato in uno scenario apocalittico nel quale il genere umano vive allo stato brado, dedito al cannibalismo poiché il pianeta è ormai spogliato di ogni risorsa. L’autore non spiega come mai si è arrivati a questo punto e perciò sono in tanti ad averglielo chiesto, compreso il regista John Hillcoat prima delle riprese. Nel corso dell’intervista McCarthy risponde che «avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, l’attività vulcanica o una guerra nucleare. Non è veramente importante. La questione essenziale ora è: che cosa fai?». Non aveva previsto la pandemia fra le varie opzioni, ma sui tempi, in qualche modo, non era andato lontano dal vero, sostenendo «potrebbe succedere fra tre o quattromila anni o potrebbe succedere giovedì prossimo».
Aspettando il mio romanzo dove l’apocalisse è la Xylella
Chissà perché, spesso gli scrittori sono attratti dalle rappresentazioni catastrofiche. Un altro autore, meno noto e meno fortunato di Cormac McCarthy (nella medesima intervista sostiene che «non c’è persona dai tempi di Adamo più fortunata di me»), Guido Morselli, ha siglato il suo capolavoro qualche mese prima di suicidarsi. Dissipatio H.G. è stato pubblicato postumo nel 1977 e immagina che il protagonista sia rimasto l’ultimo sulla faccia della terra, sebbene la natura, al contrario, si sia mantenuta rigogliosa e indifferente. In letteratura il legame fra natura e genere umano è un’ossessione che, di volta in volta, vede vincere l’una o l’altro. Aspettando il mio romanzo, l’apocalisse lì si chiama Xylella, la malattia dell’ulivo che ha sterminato migliaia di piante in Salento. Un batterio che ha cambiato l’economia e il paesaggio di un intero territorio. Qualche anno fa, quando il fenomeno si è propagato infettando piantagioni su piantagioni, nessuno avrebbe mai immaginato che successivamente sarebbe arrivato un virus come il Covid-19 che avrebbe fatto impallidire qualsiasi calamità precedente, costringendoci a stare rinchiusi in casa a sperare che, così come è arrivato, si allontani presto dalle nostre vite e dalle nostre giornate.
Cormac McCarthy aveva previsto tutto, o quasi
Colpisce pensare che nella Strada di McCarthy ci sia qualcosa della Xylella, come morbo che ha appestato la vegetazione a livello planetario, e qualcosa che ricorda alcuni recenti episodi come l’assalto ai supermercati (seppure nel romanzo non ne sia rimasto nessuno e, quelli che ci sono, hanno solo scaffali vuoti). Certo, non si può attribuire un valore profetico strictu sensu al libro, se con questo intendiamo una anticipazione puntuale di quello che sarebbe accaduto con l’epidemia da coronavirus. Tuttavia i pochi dialoghi del romanzo, che ruotano attorno al rapporto tra un padre e il figlio che cercano di sopravvivere alla desolazione, ricordano in modo impressionante certi slogan consolatori che si rincorrono in questi giorni.
Ce la caveremo, vero, papà?
Sì. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male.
Esatto.
Del resto, lo sguardo dell’io narrante non vuole essere premonitore, quanto piuttosto richiamare tutti sul fatto che, quando l’ordine delle cose viene sovvertito, com’è naturale che accada, non si può più tornare indietro. Ma questo non significa che venga meno il mistero, e con esso la speranza di un lieto fine, come quello che La strada ci regala, seguito dalla sua bellissima conclusione.
Una volta nei torrenti di montagna c’erano i salmerini. Li potevi vedere fermi nell’acqua ambrata con la punta bianca delle pinne che ondeggiava piano nella corrente. Li prendevi in mano e odoravano di muschio. Erano lucenti e forti e si torcevano su se stessi. Sul dorso avevano dei disegni a vermicelli che erano mappe del mondo in divenire. Mappe e labirinti. Di una cosa che non si poteva rimettere a posto. Che non si poteva riaggiustare. Nelle forre dove vivevano ogni cosa era più antica dell’uomo, e vibrava di mistero.
2 Comments
Caro Autore in attesa di pubblicazione,
Ti faccio i complimenti per il tuo imminente romanzo che attendo di leggere molto presto.
Il periodo che stiamo vivendo è buio, per cui, appena ne usciremo, saremo pronti ad un’opera che affonda il pugno nello stomaco, come nel tuo stile, capace però di dare un significato anche alle esistenze più nere, in cui la redenzione o il riscatto sembrano lontane dall’attecchire.
Grazie.