
95 anni fa, il 6 settembre 1925, Andrea Camilleri nasceva a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento. Il 17 luglio scorso, a un anno esatto dalla morte, la Sellerio ha pubblicato Riccardino, l’ultimo libro della saga di Montalbano che, per ammissione stessa dello scrittore, non è un romanzo: «Non si tratta tanto di un romanzo – ha avuto modo di affermare in una intervista di qualche anno fa – quanto di un metaromanzo dove il commissario dialoga con me e anche con l’altro Montalbano, quello televisivo». In uno di questi dialoghi, Salvo Montalbano scrive così a Camilleri:
Caro il mio Autore, io credo che con questa storia si è allargata tra noi una crepa esistente già da qualche tempo, crepa che rende più difficile ogni ulteriore collaborazione. Non so cosa sia successo, non penso sia solo stanchezza reciproca, ma credo che sarà assai difficile riuscire a incollare nuovamente i pezzi rotti.
Gli ideali di Camilleri rimasti immutati fino a 95 anni

Anche la morte del protagonista, che i lettori avevano prefigurato in tanti modi, è quella di un personaggio frutto della fantasia, piuttosto che di un uomo vero. Perfino l’indagine appare come un pretesto per entrare nel laboratorio creativo di Camilleri, dove il maestro siciliano si diverte a muovere la sua personale opera dei pupi, ribadendo alcuni caposaldi della sua ideologia. Dal rapporto non certo idilliaco nei confronti della chiesa cattolica (Ma se era da secoli e secoli che i parrini cumannavano nel nostro paìsi!) alla denuncia per una politica che, soprattutto nel centrodestra, è ritenuta connivente con gli interessi mafiosi. Riccardino è stato concluso nel 2005, in piena epoca berlusconiana, per poi essere rivisto stilisticamente nel 2016. Anche prima di raggiungere i 95 anni, quando Camilleri ne aveva 91, la sua profonda adesione agli ideali della sinistra era rimasta immutata e non si era discostata dal comunismo della gioventù.
I detrattori e il confronto con il Montalbano televisivo
Il metaromanzo dà l’occasione a Camilleri di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Il principale riguarda i suoi detrattori, in particolare quelli che lo considerano uno scrittore di genere, poco degno di figurare nei salotti letterari importanti. Secondo l’“Autore” magari sono pure loro dediti all’arte della penna e per questo non possono fare a meno di covare un’invidia repressa. Il numero di copie vendute dei loro libri non può ovviamente competere con quelle del poliziotto più famoso d’Italia. In un gioco di specchi, Camilleri fa il paragone con sé stesso. I telespettatori del Montalbano televisivo surclassano i lettori della carta. Sebbene 31 milioni di copie, con riferimento a quelle vendute solo in Italia, sono cifre incredibili perfino per la Bibbia, impallidiscono al cospetto di 1,2 miliardi di spettatori. Tanti sono quelli che hanno seguito sul piccolo schermo la trasposizione televisiva di alcune delle storie ambientate nel paese immaginario di Vigàta.
La ricerca della verità, il testamento di Camilleri
Riccardino si può considerare il testamento umano e letterario di Camilleri, redatto molto prima del compimento dei 95 anni e perciò nel pieno possesso delle facoltà di intendere e volere. In un botta e risposta tra il commissario e il pispico, il vescovo di Montelusa, altra cittadina dell’universo montalbaniano, lo scrittore fa dire così al primo:
Non ho fatto altro in tutta la mia carriera che cercare la verità con la ragione e con il cuore (inteso in senso pascaliano e non pascaliano). Il problema, in ogni mia indagine, è stato quello di tenere sempre equilibrato il rapporto tra questi due elementi per raggiungere la verità, o meglio quel minimo di verità necessario a convincermi di averla almeno sfiorata, intravista.
Dietro il gioco sapiente delle trame, l’invenzione caleidoscopica di personaggi e di luoghi, l’ironia sempre presente, forse è questa ricerca della verità il filo rosso di tutta l’opera di Andrea Camilleri.
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