
Ogni volta che arriva qualche novità su scrittura e AI (Artificial Intelligence) si innesca subito una sorta di riflesso pavloviano. Tra le tante news che si possono riportare in proposito, si può citare quella del 21 luglio dell’Ansa sulla sperimentazione che sta facendo Google. Il modello del colosso di Mountain View si chiama Genesis e i suoi manager lo hanno proposto a New York Times, Washington Post e Wall Street Journal. Dovrebbe aiutare i reporter nei loro compiti ripetitivi, ma non sostituirli.
Il riflesso pavloviano sta nel rassicurare i lavoratori minacciati dalla concorrenza della cosiddetta AI generativa. Sia le big tech che stanno lavorando alle sue diverse possibilità di impiego sia le aziende chiamate a valutarne l’adozione mettono le mani avanti. “Tranquilli – dicono a giornalisti, copywriter e altre categorie di professionisti della penna -, mica vogliamo sostituirvi con le macchine. Anzi, vi diamo un assistente personale che vi aiuterà a fare le cose più noiose”.
Scrittura e AI verso un futuro distopico?
Sarà, ma una corposa letteratura, a cominciare da quella inaugurata da Isaac Asimov, evoca un mondo in cui i robot poi acquisiscono coscienza e subentrano agli umani anche in maniera violenta. Per quanto un tale futuro distopico possa considerarsi irrealizzabile, resta comunque la sensazione che se un testo possa essere scritto da ChatGPT non si capisce perché bisognerebbe continuare a remunerare il povero freelance. La sua preoccupazione quindi, così come quella di chi fa un lavoro analogo, non è del tutto peregrina.
L’unica possibile obiezione a questo timore arriva dall’ignoranza imperante in cui versa il nostro paese. Un’ignoranza a cui è dedicato il libro Lumpen Italia del filosofo Davide Miccione. Giunto alla seconda edizione, il volume analizza spietatamente la deriva culturale di cui siamo insieme vittime e carnefici, sulla scorta di numerosi altri studi e dell’esperienza diretta del filosofo negli ambienti accademici e scolastici. Si esce frastornati dalla sua lettura, con l’idea che ormai il “sottoproletariato cognitivo” abbia vinto.
La vera sfida è che ci sia un lettore pensante
A prescindere dal fatto che sia vero e soprattutto irreversibile quanto riporta il libro di Miccione, una cosa è certa. Il problema della scrittura legata all’AI dipende dal lettore. Se la capacità di comprensione di un testo avrà sempre meno rappresentanti, diminuirà anche la possibile (proficua?) collaborazione tra intelligenza artificiale ed essere umano. Una collaborazione in cui il secondo chiede alla prima di eseguire dei compiti, cioè quello che in gergo si chiama prompting, per poi verificare che il sistema abbia effettivamente redatto un articolo o un brano che risponda alle sue richieste.
In altri termini, ci deve essere un soggetto pensante che sia in grado di giudicare ciò che l’AI ha concepito in base ai suoi input. ChatGPT o Bard, infatti, possono essere preda di “allucinazioni”, vale a dire possono travisare una domanda e andare fuori strada, sfornando un cumulo di emerite sciocchezze. L’importante è che qualcuno se ne accorga.
Non solo memoria, ma capacità di discernimento
Senza un lettore capace di discernere ad esempio la validità di una fonte rispetto a un’altra, l’AI avrà la meglio semplicemente perché ne saprà più di coloro che la usano. Il che non significa che, in termini di scibile sterminato a cui attinge, possa paragonarsi alla capacità mnemonica di una qualsiasi persona. A detta di Albert Einstein, “la memoria è l’intelligenza degli idioti” (citazione reiterata sul web, ma priva di alcun cenno sul contesto in cui il fisico l’abbia pronunciata o scritta).
Non bisogna perciò gareggiare su questo piano con l’intelligenza artificiale, mentre è necessario capire in che modo l’AI possa assistere nella scrittura un autore. A patto, ovviamente, che l’autore possegga gli strumenti cognitivi e un bagaglio di conoscenze idonei a fargli riconoscere le “allucinazioni” e le sciocchezze del suo assistente digitale. Altrimenti il suo lavoro non sarà messo a rischio dalla macchina, ma dalla circostanza che nessuno – lui per primo e il lettore per secondo – si renderà conto di quando l’AI sbaglia.
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